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La bellissima recensione di Mauro Grimoldi, che ringrazio infinitamente (la trovate qui).

“Cos’hanno in comune la politica e la religione, la militanza attiva e la contemplazione mistica?La risposta di madre Giuliana, una delle protagoniste dello splendido “Sorella rivoluzione” di Pierfrancesco Majorino, è chiara e al tempo stesso ampia, liberatoria, sterminata: “io, al massimo, sono solo un’idea”. L’umiltà di una simile dichiarazione non può che essere solo apparente: per una persona, essere un’idea è privilegio di pochi. Del resto ciò che rende in fondo questo libro una storia straordinaria è il fatto di tenere sempre saldamente al centro della vita qualcosa di intangibile e forse perfino inattuale, ma potente: un’idea. Sorella rivoluzione è questo, prima ancora di essere molto altro, un libro sulla vita governata da ideali. E’, certo, il racconto di una sorellanza, una storia di donne, di suore, così volutamente, radicalmente, palesemente contrapposta a quell’idea di fratellanza che risuona di virilità grottescamente esibite, di vocazioni pseudomilitaresche, di appartenenze ed esclusioni. Majorino vede nella donna la madre, la capacità di custodire dentro di sé la vita, scritta dentro un pezzo del Muro di Berlino come nella vita degli ultimi, da salvare dalla persecuzione di un fascismo senza nome, nuovo e sottile. Non si sente la mancanza degli uomini, in questa storia, evidentemente perché Majorino ha colto nel segno. E’ qui la donna la protagonista che custodisce dentro di sé l’Idea, include, salva, tiene insieme. Le sue donne lavorano intorno a una profezia, e si organizzano di fronte a un domani possibile, probabile, un futuro che Majorino si spinge a tratteggiare come a voler mettere in guardia. “Non è una distopia” dice l’autore, ed è vero: questo libro è un monito. Ma ci vuole pazienza. Il prima parte di sorella rivoluzione che prende le mosse dal tempo del Muro e arriva fino a oggi gravita tranquilla intorno all’orbita, compiaciutamente delicata, della psicologia dei suoi personaggi che agiscono nel mondo custodendo un segreto, soprattutto la madre superiora, Giuliana. Sono personaggi che lasciano un ricordo, un profumo, dalla bellissima sorella Jeannine, alla napoletana Teresa, ad Angelina, detta “suor Dracula”, per l’aspetto inquietante ma dall’animo gentilissimo, a Cecilia, la suora teologa (della liberazione), e alla mia favorita, suor Anita, che comunica attraverso il linguaggio universale del cibo, di una dedizione all’altro fatta di gesti concreti e umanissimi.Poi, quando il tempo dell’oggi si proietta verso il futuro, tutto cambia e sia il romanzo di formazione che il romanzo psicologico che occhieggiano la maestria dei grandi di questi stilemi lasciano il posto alla realizzazione di un incubo futuribile. Nella seconda parte “sorella rivoluzione” si proietta nel futuro prossimo e si trasforma (non me ne voglia l’Autore) in un’inquietante distopia, il cui riferimenti sono certamente la Atwood del “racconto dell’ancella” ma ancor più, i grandi romanzieri della resistenza, Vittorini, Fenoglio… Qui, sotto l’occhio opaco di istituzioni che rimangono democratiche solo nella formalità sterile del nome e di un sistema di comunicazioni che illude che l’informazione sia libera e possibile, le esigenze di sicurezza consentono deroghe pericolose e sempre più estreme ai diritti costituzionali. Nell’orizzonte totalitario e paranoico in cui Majorino ci proietta, si inquadra l’idea di una possibile restaurazione di una forma di totalitarismo violento senza dittatori in cui i diritti vengono dissolti dall’impatto caustico della retorica della sicurezza che vuole che i più fragili, i diversi, i non uguali, i migranti senza permesso, i malati psichici, e poi altri, forse tutti, potenzialmente, vengano schedati, controllati, segregati, sottomessi. Majorino conosce bene la tentazione di parte della politica reale e attuale a catalogare, controllare gli “intrusi”, la tentazione dei censimenti, delle liste, degli elenchi, delle impronte digitali, delle forme di riconoscimento e di rintracciamento. Il futuro dipinto da Majorino appare per questo terribilmente possibile, reale, concreto, ci mostra una moderna rivisitazione di un’angoscia già narrata ma ancora possibile in una forma nuova, in cui il nemico non ha forse più la forma umana del corpo del dittatore, ma è intorno, il controllo è ovunque. E’ un’incubo orwelliano non più situato nel 1984 ma solo rinviato a un tempo non molto lontano da oggi e realizzato con moderni droni e microchip. E’ interessante come l’idea del chip di controllo evochi immediatamente l’associazione al grafene e alle ideazioni paranoiche degli antivaccinisti, che danno corpo, forse, ad angosce più comuni di quanto si pensi. Majorino arriva così a rappresentare in modo plastico e dinamico un futuro possibile, un’agghiacciante possibilità, intuita da un prete visionario nel 1989, che racconta la necessità (solo nel romanzo, per il momento) di una nuova resistenza fatta, questa volta, in prevalenza da partigiane donne. Sorella Rivoluzione è un incubo la cui possibilità è ben presente a chi come Majorino frequenta la polis e le sue istituzioni dall’interno, conoscendo la drammatica fragilità del sogno democratico e i possibili imprevedibili sviluppi implicati nella tentazione di cedere qua e là su diritti che si credevano acquisiti e inviolabili (basti pensare al ritorno della “questione” dell’aborto in USA), trovandoci in un attimo a vederli dissoluti e dissolti nello spasimo della possibile fine di un’idea, quella della democrazia reale e dello stato di diritto. Quell’idea che, forse, sommessamente, una piccola donna col velo, una suora, può però ancora, in un futuro invivibile, pervicacemente, tenacemente rappresentare con la speranza, forse perfino la certezza, di vincere”.

(Mauro Grimoldi)